[ubuntu-it] Notizie su Open Source ....... Venezia

Lorenzo aka balooit balooit a gmail.com
Ven 13 Mar 2009 10:08:37 GMT


Articolo interessante ........

Lo riporto qui sotto
:-D

Ciao
Balooit


http://punto-informatico.it/2574362/PI/Commenti/metti-un-pomeriggio-venezia.aspx
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Metti un pomeriggio a Venezia di Luca Annunziata - L'open source può anche
divenire uno strumento per le aziende italiane per uscire dalla crisi. O
almeno può essere il mezzo attraverso il quale l'Azienda Italia si trasformi
in una azienda moderna

Roma - Una sala gremita di gente è quanto non ti aspetti. Durante la
settimana, parlare di open source in impresa a un convegno a Venezia può
sembrare quasi una scommessa. E invece poi, quando ci vai a quel convegno,
scopri che *la sala è talmente piena da avere gente in piedi*: neppure gli
organizzatori <http://opensource.univiu.org/> si aspettavano un tale
successo, tanto che alla fine le copie stampate dello studio attorno al
quale ruota l'evento non basteranno per tutti. L'interesse per quello che
l'open source può fare per le aziende (e non solo) è palpabile in Veneto.
C'è solo da augurarsi che la cosa si allarghi presto anche al resto d'Italia
(sempre che non l'abbia già fatto).

In un certo senso, lo
studio<http://punto-informatico.it/2567273/PI/Interviste/open-source-impresa-italiana.aspx>(
http://punto-informatico.it/2567273/PI/Interviste/open-source-impresa-italiana.aspx)
portato a termine dai ricercatori TeDIS<http://www.univiu.org/research/tedis/>(
http://www.univiu.org/research/tedis/) Alessandro De Rossi e Antonio Picerni
è l'occasione per contarsi: quando venne varato, assieme a loro concordavamo
sul fatto che poter finalmente comprendere quanto contasse davvero il
software a sorgenti aperti in un contesto economico dove il profitto - che
lo si voglia o meno - costituisce l'obiettivo primario, era una priorità.
Finita la bolla del web 2.0, *finita la moda dell'open source*, oggi questo
modello di sviluppo è meno presente sui media di quanto lo fosse appena un
paio d'anni fa: questione di trend del mercato?

Alla luce di quanto fatto registrare nello studio del TeDIS, e alla luce
della quantità di pubblico in sala, evidentemente le cose stanno in modo
diverso. Il direttore della VIU <http://www.univiu.org/index.html> (
http://www.univiu.org/index.html), *Stefano Micelli*, durante i lavori è
stato chiarissimo quando ha parlato di "intensità mediatica inferiore", ma
al contempo di "mercato solido e consistente": oggi l'OSS non è più un
fenomeno di costume o un fenomeno passeggero, ma si è trasformato in un vero
e proprio modello di business che viene attuato da aziende piccole con
fatturati piccoli e da aziende multinazionali che puntano ai pesci grossi
costituiti dalle pubbliche amministrazioni.

Sempre secondo il professor Micelli, l'open source è in grado di innescare
"una dinamica economica in grado di sostituire la filiera tradizionale": si
riferisce ovviamente alla possibilità di sviluppare - abbattendo i costi -
un software in un ambiente vasto quanto la Rete, non strutturato, dove
chiunque può interagire con il resto della comunità per offrire il proprio
contributo e la propria esperienza. Chi ha fatto il grande passo, chi ha
creduto e investito in questo cambiamento epocale, sta oggi ottenendo
risultati quantomeno interessanti: lo studio TeDIS lo ha dimostrato. Il
problema, semmai, è che *non tutti hanno ancora compreso i vantaggi* di un
certo approccio al mercato del software e dei servizi.

Pensare che chiunque possa contribuire allo sviluppo di un software è
impensabile: non tutti oggi sono in grado, né lo saranno in futuro, di
mettere mano a un kernel per ricompilarlo o a un file *make* per variare
quanto occorre a costruire una build personalizzata per la propria
workstation. Però tutti possono pensare di contribuire, anche solo
attraverso il feedback: è *quanto già oggi accade* con due dei principali
successi dell'open source, vale a dire *Firefox e OpenOffice*. In un certo
senso, l'open source abbatte pure il digital divide: coinvolge l'utente
finale nella crescita della tecnologia che utilizza, lo rende più
consapevole degli strumenti che ha a disposizione.

Se si vuole davvero che l'open source cessi di essere una ideologia e si
trasformi in una realtà, anche imprenditoriale, occorre anche *tenere un
approccio quanto più laico possibile*: esiste una differenza tra free
software e open source, esisterà sempre, ma non bisogna per questo mettere
in piedi vere e proprie guerre civili tra le parti chiamate in causa. Chi
vuole mettere in piedi un business, fare soldi con l'open source, deve
essere libero di farlo: che tragga vantaggi per sé è comprensibile nella
cultura economica occidentale, e forse i vantaggi per la comunità ci saranno
anche a prescindere dal suo approccio etico alle licenze.Uno dei punti che
mi ha maggiormente colpito durante i lavori del convegno, e nelle
chiacchiere con i relatori prima e dopo, è stata la lucidità che chi si
occupa di questo settore ha nell'analizzare uno dei principali freni allo
sviluppo economico dell'Italia: *l'ammodernamento di cui necessita la
pubblica amministrazione*. Sarà l'aria del nord-est, eppure alcuni dei
relatori venivano da sotto la cintura padana come il sottoscritto, ma tutti
avevano le idee chiare sugli strumenti che ci sono oggi a disposizione,
sulle risorse umane ed economiche in gioco, e su quello che si può e non si
può fare per tentare di migliorare la situazione.

Non è un caso se la Regione Veneto ha varato una
legge<http://www.consiglioveneto.it/crvportal/leggi/2008/08lr0019.html?numLegge=19&annoLegge=2008&tipoLegge=Alr>(
http://www.consiglioveneto.it/crvportal/leggi/2008/08lr0019.html?numLegge=19&annoLegge=2008&tipoLegge=Alr)
dal titolo *Norme in materia di pluralismo informatico, diffusione del riuso
e adozione di formati per documenti digitali aperti e standard nella società
dell'informazione del Veneto*: una regione che ha davanti a sé sfide
importanti sul piano infrastrutturale, che ha davanti a sé una stagnazione
economica dovuta in parte alla crisi mondiale e in parte alla concorrenza
spietata che viene da est, cerca di dotarsi degli strumenti necessari per *fare
fronte a spese che devono essere tagliate* e obiettivi che impongono
sacrifici.

Quello di cui si parla sempre in TV e sui giornali, vale a dire la
semplificazione dei procedimenti burocratici per migliorare la
competitività, passa anche da qui: c'è bisogno di fare di più, in modo più
semplice e con fondi che non sono infiniti, e quindi una regione si pone il
problema e cerca una soluzione. *Il riuso delle soluzioni già sviluppate*,
l'adozione del software open source nella PA sembrano fare al caso: dunque
si mette nero su bianco in una legge regionale che "Al fine di favorire la
partecipazione alla vita democratica e la fruibilità dei servizi pubblici" e
per "la razionalizzazione della spesa pubblica e in considerazione delle
positive ricadute sulla concorrenza e la trasparenza del mercato" opta per
"la diffusione di formati aperti" e "l'uso di software libero".

Anche in questo caso, comunque, occorre fare delle precisazioni. La legge
dice "predilige" il software libero, non ne fa un requisito: si tratta di
mantenere un approccio laico, come già detto, lo stesso che lo studio del
TeDIS ha dimostrato ripagare maggiormente gli sforzi delle aziende
coinvolte. L'OSS è uno strumento che si può usare per fare innovazione e per
far crescere il tessuto economico locale, grazie anche all'utilizzo del
capitale umano che cresce nelle università locali, ma *le aziende e la PA
devono sempre scegliere la soluzione che più si confà alle loro necessità*,
senza pregiudizi di sorta.

Com'è stato ribadito nel corso del convegno, il vecchio concetto di
commerciale che si presenta con una tabella con i costi di licenza per
postazione per il suo software è destinato a scomparire: *il modello dei
software più servizi si sta imponendo*, tra gli altri lo applicano (almeno
in parte) giganti come Microsoft, SUN e SAP. Di spazio per crescere in
questa direzione ce n'è molto, anche per le aziende italiane purché si
muovano subito. Di spazio per risparmiare, per le pubbliche amministrazioni
che tengano conto dell'interoperabilità e del riuso, ce n'è altrettanto.

In Veneto sembrerebbe che l'abbiano compreso tutti, sia dentro le
istituzioni che fuori, nelle imprese: occorre ora stabilire se lo stesso sia
accaduto anche altrove in Italia o se, come già successo altre volte in
passato, ci si troverà davanti a poche eccellenze e casi meno sfortunati di
cui discutere, da mettere a confronto. Da sviscerare mentre il resto del
mondo andrà avanti, e *il divario tra le economie delle altre nazioni e
quella italiana* si sarà fatto ancora più marcato.

*Luca Annunziata *
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